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9 Aprile 2021

Profour #3 – Intervista leggera, anzi leggerissima a Matteo Zanobini, manager di Dimartino

di Proforma

Il Festival di Sanremo del 2021 passerà alla storia come l’unica edizione senza pubblico e l’unica grande kermesse che si è svolta in questo periodo complicato. Fra i messaggi e le canzoni che gli artisti hanno provato a lanciare dall’unico palco disponibile, “Musica leggerissima”, la canzone di Colapesce e Dimartino arrivata al quarto posto, ha trovato la chiave per decifrare un bisogno nemmeno troppo nascosto degli italiani: quello di cantare all’unisono, di andare ai concerti e di riprendere in mano cose lasciate in sospeso da più di un anno. Come nasce un tormentone quando è difficile anche solo lanciare una canzone?
Lo abbiamo chiesto a Matteo Zanobini, manager di Picicca, una tra le più solide realtà di management musicale e produzione in Italia. Matteo cura la gestione di artisti come Dimartino, Brunori Sas, Maria Antonietta, Lucio Corsi, Dente e ha curato importanti collaborazioni artistiche, fra gli altri, con Vinicio Capossela e Arisa.

“Musica leggerissima” è diventata una specie di tormentone estivo prima che l’estate arrivasse. Quando siete stati selezionati per correre a Sanremo immaginavate un esito del genere?

Già dal provino sapevamo che il pezzo era molto forte. E mano a mano che lo facevamo sentire (dalle varie persone del nostro staff e/o dagli autori del festival) ne avevamo continua conferma.
Nessuno però poteva immaginare che la canzone travalicasse la musica e prendesse i contorni del fenomeno sociologico: è diventata un inno contro la depressione di massa. Che una canzone sulla funzione salvifica della musica leggera sortisse proprio questo effetto sulle persone ha chiuso perfettamente il cerchio.

Nella settimana successiva al Festival (con una coda lunga che non accenna ad appiattirsi) il ritornello di Musica Leggerissima è diventato un meme: è stato appiccicato a qualsiasi cosa: video del passato decontestualizzati, altri video con persone che ballavano, sfide su TikTok. Non era infrequente leggere post su Facebook di persone che chiedevano aiuto per smettere di ascoltarla. Avete agevolato questo processo o è partito in modo completamente anarchico?

Il brano risponde al sentimento più diffuso in questo preciso momento storico nel nostro Paese e non solo: siamo in crisi e abbiamo voglia di ballare in maniera liberatoria. Questo l’ha fatta volare. Poi certamente è stato agevolato da precise manovre di marketing iniziali che hanno dato il via, ma ad un certo punto il pezzo ha preso una traiettoria propria, ha smesso di essere di Colapesce e Dimartino ed è diventato di tutti. La diffusione è stata a quel punto totalmente organica e naturale, e soprattutto esponenziale.

La fissazione di chi fa il nostro mestiere è cercare un collegamento tra l’attività online e il successo commerciale. Non sempre ciò che diventa tormentone in rete poi porta a un effettivo aumento delle vendite. Nel vostro caso, come sta andando?

Nel nostro caso c’è stata una corrispondenza. È ancora presto per tracciare un bilancio ma la conversione dell’effetto “tormentone” nel mondo reale è al momento ottima. Molto ci dirà il tour estivo, che speriamo vivamente di poter fare (sperando che il governo dia delle direttive simili a quelle già date in Francia o in Spagna – quindi capienze maggiori della scorsa estate o comunque proporzionali alla grandezza delle venue – e che si renda conto che gli eventi, con la corretta messa in sicurezza, sono luoghi sicuri). Succede raramente di fare un successo di questo tipo con un brano di qualità testuale e musicale. È “l’effetto centro di gravità permanente”. Una canzone composta da più livelli di lettura: chi si ferma al primo balla e si diverte, chi legge il secondo livello capisce il senso del brano. Secondo me il pubblico lo ha capito, e quindi lo premia.

Restando in tema e facendo a te la stessa domanda che abbiamo fatto a chi ti ha preceduto e ti seguirà come ospite di questa rubrica: qual è la tua “pubblicità tormentone”, quella che ti è rimasta in testa per più tempo?

Devo dire che non sono un grande consumatore di tv, ma durante il lockdown mi è capitato di vederla molto di più del solito. “Credo negli esseri umani”, anche per la frequenza di passaggi ai limiti del ricorso, mi ha trapanato il cervello. Ma forse la mia preferita è “Sì col riso ma senza lattosio”. Anche “Febal” l’ho ballata spesso nei momenti di follia casalinga.

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