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8 Novembre 2021

Profour #5 – Intervista a Dario Bernardi.

di Proforma

Il 4 ottobre Dario Bernardi è stato eletto sindaco di Portomaggiore, 11mila abitanti, in provincia di Ferrara. Nella corsa a cinque a turno unico, la lista che ha guidato, Energie per Porto, ha ribaltato i pronostici della vigilia e ha conquistato la riconferma a Palazzo di Città.
Due anni fa Dario Bernardi era assessore ai lavori pubblici del suo Comune e ha partecipato all’edizione del 2019 di LaProf, la scuola di comunicazione politica e istituzionale di Proforma. Quando si sceglie di parlare di elezioni amministrative il dibattito si sviluppa spesso su ciò che accade nelle grandi città. Abbiamo scelto di approfondire con lui le dinamiche di un piccolo comune.

Sindaco Dario Bernardi, com’è stato svolgere il ruolo di assessore e come sarà fare il primo cittadino nel periodo del Covid?

È stata una sfida complessa. Quando ho assunto le deleghe ai lavori pubblici e allo sport del mio Comune mi sono trovato, come tanti altri amministratori locali, a dover fronteggiare una pandemia che ha stravolto completamente l’ordinario. Ho fatto quello che hanno fatto tanti colleghi: abbiamo affrontato i problemi con il lavoro quotidiano, fianco a fianco con le associazioni che ci aiutavano a portare pasti e medicine, cercando di garantire i servizi. Le doti fondamentali le potete immaginare: pragmatismo, inclusione, dialogo. E tanta pazienza.

Qual era il contesto iniziale della campagna elettorale? Cosa è stato determinante per vincere?

Per utilizzare un’espressione in voga di questi tempi, abbiamo vinto “di corto muso”. Ho vinto di 107 voti, con il 30% dei consensi in una corsa a 5, con una lista fatta di persone che hanno scelto un progetto civico, che metteva insieme sia gli iscritti del Partito Democratico, sia cittadini che non fanno parte di alcun partito, ma hanno scelto di condividere con me un percorso di rinnovamento di Portomaggiore.
Non voglio dare consigli su come si vincono le elezioni, ma posso raccontare con orgoglio la mia esperienza. Sono partito prima degli altri: per usare una metafora ciclistica, mi sono messo a tirare il gruppo in un momento in cui la mia comunità politica pensava di avere il fiato corto. Nel mio territorio la destra è un avversario temibile ed era considerato favorito per la vittoria. La mia squadra ha fatto una campagna pragmatica, puntando sulla credibilità del lavoro fatto negli anni precedenti, senza rispondere alle provocazioni e senza fare una replica a livello locale del dibattito nazionale. Abbiamo raccontato quello che siamo e cosa volevamo fare per Portomaggiore, con serietà. E abbiamo fatto una cosa che non ha fatto nessuno: siamo andati a fare campagna elettorale porta a porta, suonando i campanelli, per presentarci. Centinaia di abitazioni fra centro e frazioni. Non so dire se abbia aiutato, ma credo di sì.

A livello di territorio, quali sono le difficoltà di gestione di un Comune composto da molte frazioni? Cosa conta di più nel rapporto fra l’amministrazione e i cittadini?

La competenza e la credibilità degli amministratori. A noi i cittadini chiedono questo. La reputazione di chi si propone per un ruolo pubblico non è una cosa che si costruisce per la campagna elettorale, ma nasce molto prima.
E a proposito del dibattito fra centro e periferie, Portomaggiore rientra pienamente nelle seconde. Siamo una comunità distribuita fra otto frazioni, che ha esigenze particolari di mobilità, con un rischio sociale alto dovuto prevalentemente all’invecchiamento della popolazione. Abbiamo una comunità straniera di grande entità, che è una caratteristica del nostro paese e che è inserita nel tessuto lavorativo sia della provincia di Ferrara sia di quella bolognese. Come tanti altri amministratori, ho affrontato anche le difficoltà legate al mantenimento e alla ripartenza dei servizi dovuti alla situazione complicata dei bilanci pubblici. È naturale che sia più facile parlare dei grandi centri quando si parla delle amministrative e dei territori, ma l’Italia è costruita di piccoli e medi Comuni ed è importante che si parli anche di loro. Se vogliamo capire i territori dobbiamo capire quali sono le esigenze e immaginare concretamente le soluzioni da proporre.

Di solito, all’ultima domanda di questa rubrica chiediamo agli intervistati di ricordarci la prima pubblicità che viene in mente. In questo caso cambiamo prospettiva: qual è la campagna elettorale che più ti ha colpito?

Bella domanda. Faccio un ragionamento: la campagna di Renzi delle primarie 2013 va menzionata, perché nel nostro campo mancava quel tipo di proposta efficace, ma divido a metà la mia risposta: c’è una campagna che ha colpito il militante e una che ha colpito la persona. Un “nativo democratico” come me, cresciuto nel Partito Democratico, non può non ricordare con grande piacere la campagna elettorale di Walter Veltroni nel 2008. Quella promessa di cambiamento ci diede il senso di una battaglia politica di modernità. Pure nella sconfitta ci fece capire che la strada che stavamo percorrendo era l’unica possibile.
Ma c’è una campagna elettorale che mi ha colpito più di ogni altra: le elezioni regionali del 2020 in Emilia – Romagna. Per la prima volta c’era la paura vera di perdere la Regione. A metà gennaio 2020, Bonaccini organizzò due eventi a Portomaggiore e Argenta. Faceva freddo, zero gradi, una nebbia da romanzo horror. Nel nostro territorio la Lega prometteva sfracelli. Quella sera di gennaio in piazza a sfidare il clima c’erano 150 persone ad ascoltare Bonaccini. Strette, coinvolte da un senso di appartenenza profondo e di una voglia di affermazione politica che raramente ho visto prima. Non lo dimenticherò mai.

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