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27 Dicembre 2021

Profour #6 – Intervista a Francesca Parviero

di Proforma

Francesca Parviero è un’imprenditrice esperta di sviluppo del capitale umano, digital mindset e women empowerment con un passato nelle risorse umane di aziende multinazionali e startup. Con Linkbeat, la sua società, ha ideato per Danone-Activia il programma ACT4Change, che punta a dare un supporto attivo alle donne nel mondo del lavoro. Nei suoi progetti di consulenza, il personal branding e la narrazione personale e professionale diventano una leva di progettazione della propria vita. Nel 2012 è diventata la prima EMEA Talent Solutions Partner italiana. Autrice di libri e contributor per magazine, testate e blog (fra gli altri Alley Oop, blog multifirma de Il Sole 24 Ore, Manageritalia, Senzafiltro), con lei vogliamo affrontare in questo spazio alcuni temi fondamentali, che non hanno ancora lo spazio che meritano nel dibattito pubblico. A partire da alcune parole chiave: ricerca del lavoro, diritti delle donne e formazione professionale.

Nel progetto ACT4Change che hai sviluppato con la tua squadra hai proposto esperienze, consigli e opportunità da sfruttare sia per la formazione professionale sia per il momento del colloquio di lavoro. Il 2021 è il secondo anno della pandemia ed è quello della cosiddetta “great resignation”, il boom di dimissioni che dallo scorso maggio ha interessato a livello internazionale il mondo del lavoro. Cosa ci aspetta in questa fase? Le donne sono più a rischio?

Come sempre, le donne sono più esposte e, quindi, penalizzate: la pandemia ha puntato i riflettori sui tanti – troppi – fardelli di cui sono sovraccariche le donne. Negli ultimi due anni, sono le donne ad aver perso il lavoro o ad averci dovuto rinunciare per far fronte alle emergenze di cura o perché prevalentemente impiegate in quei settori più colpiti dalla crisi. Se è vero che le donne hanno dovuto sopportare a testa china per arrivare alla fine del tunnel, è altrettanto vero che è in atto una fase di ridefinizione del ruolo delle donne all’interno delle organizzazioni e della società. Per questo, le donne hanno il diritto-dovere di lavorare su sé stesse per far emergere chi sono veramente e che cosa vogliono, sul piano personale e professionale. Ce lo insegna proprio la metodologia Designing Your Work Life, di cui sono coach certificata, che applica il design thinking alla progettazione della propria vita ed è stata elaborata dal team del DLab della Stanford University. Quello che dobbiamo aspettarci davvero in questa fase è che nessuno accetti più di conformarsi agli schemi di prima, subendo vecchie strutture organizzative che non tengono conto dei loro carichi, perché nessuno è più come prima, le donne soprattutto.

Per contrastare le discriminazioni salariali e per incentivare ad assumere le donne, il Parlamento ha recentemente approvato una legge che prova a ridurre e contrastare il gender paygap, le discriminazioni salariali tra donne e uomini. Qual è la strada giusta per eliminare questo divario, sia per le condizioni ambientali dei luoghi di lavoro sia per la busta paga? A tuo parere, cosa manca ancora per raggiungere l’obiettivo?

Sono molto felice che sia stata approvata la legge sulla parità salariale, proprio nei giorni in cui mi trovavo al Women’s G20 Forum. Mi sento parte del movimento che ha lavorato in questi anni perché si arrivasse a questo risultato. Il mio personale ringraziamento va al gruppo Donne di Manageritalia, capitanato da Luisa Quarta, con cui ho collaborato per anni. La strada giusta per agire in maniera seria e coerente ed eliminare definitivamente il divario inizia dall’analisi dei salari all’interno delle organizzazioni: senza salari uguali all’interno delle organizzazioni, tutto il resto è pink washing. A partire dalla parità salariale effettiva, si innesta poi un tema di umanizzazione negli ambienti di lavoro. È ora di iniziare a pretendere che – all’interno di tutti i tipi di organizzazione, sia private sia pubbliche – ci siano dei filtri sui bias di genere: bisogna allenare sia chi decide sia chi seleziona a identificare e valorizzare le condizioni di diversità. È ora che nei processi di selezione si inizi a tenere in conto positivamente di tutta l’attività di cura in cui sono impegnate le persone: che agli uomini venga chiesto di che cosa si occupano rispetto all’organizzazione famigliare, e quali sono i loro modelli femminili di riferimento. Le prime linee di un’organizzazione sono dei role model e i loro modelli influenzano le loro scelte.

Sei una dei massimi esperti di LinkedIn in Italia. Qual è il suo stato attuale? È ancora nel pieno della sua “ragione digitale” o assomiglia sempre di più a Facebook o ad altri social network? È ancora un social dedicato alla ricerca del lavoro o è sempre più una vetrina maggiormente dedicata alla promozione delle aziende?

Non mi sento una delle massime esperte di LinkedIn in Italia: mi definisco piuttosto una attenta osservatrice e conoscitrice delle dinamiche e delle espressioni digitali delle persone sui network online. Sentiamo sempre più spesso dire che LinkedIn “è sempre più Facebook”, ma personalmente continuo a viverlo come la mia Disneyland del mondo del lavoro. A mio avviso, LinkedIn gode di ottima salute, è una grandissima risorsa democratica in cui continuo a credere molto. È uno strumento che conserva ancora oggi la capacità di evolvere favorendo sempre nuove opportunità di scambio qualificato e offrendo contenuti e-learning che toccano tutte le competenze del futuro del lavoro. Sta ai singoli utenti costruire la propria esperienza su LinkedIn, anziché subirla: per ritagliarsi la propria esperienza ideale ci vogliono impegno e autenticità, ma grazie a un investimento di tempo mirato è possibile beneficiare del valore che ci arriva dall’opportunità di coltivare la forza delle connessioni reali e le relazioni all’interno delle nostre reti analogiche e digitali.

Alla domanda conclusiva la nostra rubrica parla di pubblicità. Abbiamo parlato molto di donne e di lavoro. Vorrei chiederti qual è la prima pubblicità che ti viene in mente che ha fatto bene alle donne: che sia stata firmata da uomo o una donna, che abbia messo al centro la questione femminile o che abbia demolito una colonna del maschilismo.

Una pubblicità che abbia fatto bene alle donne non mi viene in mente, quello della pubblicità è un mondo ancora molto governato da intenzioni poco coraggiose. Parliamo piuttosto di brand activism e di quello che stanno facendo i brand per le donne. In apertura è stato citato il progetto ACT4Change, che ho ideato per Danone-Activia e che sostiene le donne nel mondo del lavoro grazie a un percorso formativo sui temi del personal branding per la ricerca di nuove opportunità professionali. L’identità visiva di ACT4Change ruota attorno all’intervento artistico colorato e gioioso di Luchadora, illustratrice che porta già nel suo nome la determinazione battagliera della lottatrice, simbolo per eccellenza di empowerment al femminile. Con queste illustrazioni siamo arrivati, con un megawall pubblicitario, davanti a Palazzo Chigi, a ricordare che su 4 posti di lavoro persi durante la pandemia 3 sono stati di donne. La sfida che devono cogliere i brand oggi è quella di far corrispondere al profitto azioni di impatto sociale che restituiscano alla società il valore guadagnato, in uno scambio virtuoso. Ed è quello che sta succedendo: tra privati sono sempre più diffusi modelli come quello delle società benefit e delle B corp che indicano in maniera manifesta le proprie intenzioni di impatto. Io stessa ho voluto che la mia società, Linkbeat, assumesse questo tipo di forma giuridica, che mi permette di continuare a fare crescere il mio impegno sociale al crescere della mia attività imprenditoriale.

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